The Nejm’s version about Big data in Health

Mentre gli ospedali si muovono sul filo del rasoio per la condivisione dei dati dei pazienti, un sistema offre un nuovo punto di equilibrio

Garantire equilibrio nella divulgazione di informazioni sensibili grazie alla condivisione controllata dei dati dei pazienti: questo l’obiettivo del documento descritto in un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine e ideato dagli esperti del Michigan Medicine, il centro medico accademico dell’Università del Michigan, che hanno definito un approccio già applicato a migliaia di pazienti, basato su una comunicazione etica e responsabile, e sul consenso informato con cui i partecipanti ai progetti di ricerca accettano o meno di condividere i propri dati sensibili. “Ogni grande centro medico in America si trova su una miniera d’oro, dato che i dati sui pazienti e sui partecipanti alle ricerche potrebbero valere milioni di dollari per le aziende alla ricerca di indizi utili per la realizzazione di farmaci, tecnologie, applicazioni e altro”, spiega Kayte Spector-Bagdady del Center for Bioethics & Social Sciences in Medicine presso l’Università del Michigan. “Prima della pandemia i principali sistemi sanitari avevano iniziato a vendere i ‘diritti di estrazione’ dei dati immagazzinati, comprese informazioni sul DNA di pazienti raccolti da campioni di sangue o tessuti. A causa anche delle difficoltà economiche emerse con l’emergenza sanitaria si è reso indispensabile un modus operandi a riguardo, un nuovo framework che possa coadiuvare il personale sanitario a divulgare le informazioni utili e tutelare i pazienti e le loro disposizioni”, continua l’esperta, sperando che il loro approccio possa offrire una soluzione etica per far avanzare la ricerca e l’innovazione medica, rispettando allo stesso tempo la fiducia che i pazienti e i partecipanti alla ricerca ripongono nel nostro istituto. “Il punto cruciale del sistema, lanciato nel 2018, è un documento di consenso informato di facile comprensione che i partecipanti alla ricerca possono scegliere di firmare, oltre ai moduli che firmano per prendere parte ai progetti di ricerca”, specifica Sachin Kheterpal, collega e coautore di Spector-Bagdady, aggiungendo che il passaggio fondamentale del modulo è la dicitura “Autorizzo a condividere i miei campioni e le mie informazioni con ricercatori di tutto il mondo, compresi quelli che lavorano per aziende. I ricercatori e le loro organizzazioni potrebbero potenzialmente beneficiare della vendita dei dati o delle scoperte. Sono consapevole che non avrò diritti alle scoperte collegate né agli eventuali proventi ad essa collegati”. Il team sostiene che volontari e i partecipanti alle ricerche vengono sempre informati anche della possibilità di revocare il consenso in futuro. “Un comitato, che si riunisce ogni due settimane, deve inoltre riesaminare, approvare e tenere traccia di tutti i progetti che comportano la condivisione dei dati dei pazienti o dei campioni con le aziende. Sono sempre almeno tre le proposte da sottoporre al comitato durante ogni riunione”, osservano i ricercatori, aggiungendo che esistono casi in cui l’ente deve valutare anche l’importanza della ricerca. “Se ci imbattiamo in una malattia unica, nuova o estremamente rara, il comitato valuta l’importanza di trovare nuove opzioni di trattamento e prevenzione rispetto al diritto del singolo partecipante. Studi precedenti hanno dimostrato che i pazienti che si sottopongono a progetti di ricerca sono più inclini a sacrificare la propria privacy nella speranza di poter contribuire a chi sperimenta i loro stessi sintomi”, aggiunge Kheterpal. “Credo che questo documento sia fondamentale nel mondo che ci si prospetta oggi, specialmente a seguito della situazione COVID-19, in cui la pressante necessità di cercare risposte a una pandemia globale potrebbe alimentare la tentazione di trovare scappatoie alla protezione dei dati sanitari per ottenere sovvenzioni federali o monetizzare informazioni sensibili. Speriamo che il nostro approccio possa essere un esempio per altre istituzioni”, afferma Marschall Runge, vicepresidente esecutivo della Medical School dell’Università del Michigan.

Per approfondire qui il press release dell’Università del Michigan