Lancet e Nejm ritrattano gli studi sulla clorochina

Silvio Garattini, errore “frutto della frenesia”, Enrico Bucci e il piccolo cimitero delle pubblicazioni ritirate su Covid-19

Le riviste scientifiche The Lancet e The New England Journal of Medicine (NEJM) hanno ritirato due documenti a seguito del rifiuto di condividere i dati da parte della società coinvolta. L’articolo su The Lancet -ricostruisce Science – smentiva l’efficacia dei farmaci antimalarici per il trattamento di COVID-19, sostenendo che queste sostanze potevano causare gravi danni all’organismo. L’impatto dello studio aveva avuto una portata globale, spingendo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a interrompere i test su uno dei farmaci. Tre autori, spiega Science,  hanno chiesto la ritrattazione dopo aver avviato una revisione indipendente dei dati grezzi. “I nostri revisori ci hanno informato che Surgisphere, una piccola società con sede a Chicago gestita da Sapan Desai, il quarto autore dello studio, non trasferiva il set di dati completo per accordi di riservatezza, per questo non possiamo garantire la veridicità delle fonti di dati”, scrivono nella ritrattazione Mandeep Mehra dell’Università di Harvard, Frank Ruschitzka dell’University Hospital di Zurigo e Amit Patel dell’Università dello Utah. Un panel che ha esaminato i dati preliminari dello studio non ha trovato prove evidenti di danni ai pazienti. Per quanto riguarda l’articolo sul NEJM, invece, gli autori sostenevano che l’assunzione di farmaci per la pressione sanguigna non sembrava aumentare il rischio di morte per COVID-19, come suggerito da alcuni ricercatori. Tra le firme del documento Mehra, Patel e Desai, ma anche SreyRam Kuy del Baylor College of Medicine e Timothy Henry of Christ Hospital di Cincinnati. “Dato che non tutti gli autori hanno potuto accedere ai dati grezzi e che questi non potranno essere resi disponibili a un revisore di terze parti, non siamo in grado di convalidare le fonti di dati alla base del nostro articolo”, si scusano gli esperti. Un terzo studio, condotto ancora da Mehra, Patel e Desai grazie ai dati di Surgispgere è stato pubblicato online solo sul sito di prestampa Social Science Research Network (SSRN), e non è più disponibile. Nel documento si analizzavano gli effetti dell’ivermectina, un antiparassitario, che secondo gli autori sembrava associato a una drastica riduzione della mortalità nei pazienti COVID-19. “Quando sono iniziate a emergere discrepanze nei dati, io e i restanti coautori abbiamo immediatamente chiesto una rianalisi da Surgisphere per condurre una revisione indipendente, ma l’azienda non trasferirà i dati grezzi. Per questo non ho più fiducia nella veridicità dei dati”, dichiara Mehra, ammettendo di non aver fatto abbastanza per garantire l’affidabilità delle fonti e scusandosi per le delazioni dirette e indirette che pubblicazioni e ritrattazioni potrebbero aver provocato. “Mehra è un’autorità nel campo, credo solo che la sua fiducia in questa piccola società fosse mal riposta”, commenta Daniel Goldstein, un cardiochirurgo presso l’Albert Einstein College of Medicine che ha collaborato con Mehra a diversi studi. “Si tratta di una situazione spiacevole e inquietante. Il caso Surgisphere solleva delle problematiche relative all’accessibilità dei dati, che dovrebbe essere libera e totale per gli scienziati, in modo da limitare errori, fabbricazione di dati o frode totale”, dichiara Leigh Turner, bioeticista presso l’Università del Minnesota. “Anche le riviste avrebbero dovuto essere più sensibili alla mancanza di rigore e mostrare più attenzione nel processo editoriale”, sostiene Turner. “È giusto che questi articoli siano stati ritirati. Tuttavia, l’incapacità di risolvere tali preoccupazioni di base sui dati nel corso della normale revisione tra pari solleva seri interrogativi sullo standard di editing di Lancet e NEJM, considerate due tra le riviste mediche più prestigiose al mondo”, osserva Chis Chambers dell’Università di Cardiff, membro del gruppo direttivo della rete di riproducibilità del Regno Unito. “Ma non solo, l’articolo sul server di prestampa non è passato inosservato e le dichiarazioni nel documento hanno fatto sì che l’ivermectina diventasse popolare in Sud America, provocando un aumento della mortalità. L’aspetto grave è che non esiste una ritrattazione per questo articolo, è come se non fosse mai esistito”, afferma Carlos Chaccour del Barcelona Institute for Global Health, che ha archiviato il manoscritto ormai scomparso sul sito del suo istituto. “Emergono rabbia e frustrazione, insieme alla sensazione che il nostro sistema di ricerca ci abbia delusi, non solo autori degli articoli, ma anche revisori ed editori, che hanno reso un grave disservizio alla ricerca”, commenta Steven Tong, del Doherty Institute di Melbourne, in Australia.

Silvio Garattini: errore “frutto della frenesia da emergenza”

“La ritrattazione riflette un po’ lo stato di confusione generato dall’emergenza, la corsa a voler pubblicare dati, a voler esprimere opinioni, ma è fondamentale portare pazienza e attendere sempre i risultati degli studi clinici”, lo ha detto Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, commentando la ritrattazione dell’articolo accademico sulla rivista The Lancet per inaffidabilità dei dati relativi alla somministrazione di antimalarici nei pazienti COVID-19. “Per avere informazioni sulla reale efficacia di un farmaco, a meno che non si tratti di medicinali miracolosi, è necessario eseguire studi clinici controllati e avere la pazienza di attendere i risultati. La fretta di esprimere opinioni può portare a illusioni o delusioni, a seconda dei casi, e a una gran confusione”, commenta l’esperto. “Anche chi pubblica deve essere consapevole dell’impatto che la divulgazione di informazioni può provocare. Per questo è fondamentale che medici, esperti, scienziati e ricercatori prestino estrema attenzione alle pubblicazioni. Solo studi e ricerche controllate e che abbiano avuto il giusto referaggio devono raggiungere il grande pubblico”, prosegue Garattini, aggiungendo che in caso di disseminazioni di dati incompleti o non verificati è fondamentale sottolineare i limiti dello studio e i punti deboli della ricerca, per rendere un onesto riscontro delle indagini seguite ed evitare la confusione che si provocherebbe altrimenti. “Studi poco chiari non contribuiscono al buon nome della scienza e certamente non aiutano ad avere fiducia nella ricerca. Bisogna sempre seguire fino in fondo studi clinici controllati, gli unici che possano stabilire l’efficacia di un farmaco”, conclude Garattini.

Enrico Bucci e il piccolo cimitero delle pubblicazioni su COVID-19

Non è la prima che alcuni articoli scientifici vengono ritrattati, a volte anche dopo molto tempo, e dopo che la loro pubblicazione ha comportato conseguenze rilevanti in termini di salute pubblica. In passato è successo in diverse occasioni, come per esempio nel caso dell’articolo, pubblicato sempre su The Lancet da Andrew Jeremy Wakefeld nel 1998 che metteva in relazione il vaccino trivalente con l’autismo. In questo caso la scoperta della frode scientifica avvenne solo anni dopo la pubblicazione, e la rivista ritirò l’articolo solo nel 2010 quando ormai le pseudo ricerche di Wakefiled avevano alimentato un forte movimento no-vax che è arrivato fino ai nostri giorni. In tempi di pandemia, quando i ricercatori da tutto il mondo si affannano a pubblicare il più presto possibile tutti i dati di cui vengono in possesso è normale che questi incidenti capitino ed è anche più importante aumentare la sorveglianza soprattutto in materia di integrità dei dati. Anche perchè la pubblicazione dell’articolo non esaurisce l’attività di verifica dei dati e delle informazioni che continua attraverso la replicazione delle sperimentazioni. “Forse – ha spiegato in un lungo post su facebook Enrico Bucci Adjunct Professor presso la Temple University di Philadelphianon è abbastanza chiaro che, quando si dice che la scienza procede controllando ed autocorreggendo sè stessa, significa che procede anche eliminando le pubblicazioni che non reggono allo scrutinio della comunità scientifica, e che un dato appena pubblicato è solo all’inizio della sua analisi, non alla fine. In una pandemia, ce ne dimentichiamo perché vogliamo risposte subito; ma le cose non funzionano così”. I ricercatori hanno provveduto cioè a verificare i risultati delle ricerche che via via venivano pubblicati e poi hanno proceduto a segnalare eventuali anomalie e discordanze. Alla fine, spiega Bucci, ne è venuto fuori un vero e proprio “piccolo cimitero delle pubblicazioni su COVID-19 che non hanno resistito allo scrutinio degli scienziati, fra cui alcune adottate troppo frettolosamente per informare le policy pubbliche”. Il primo esempio citato dal professore che è anche autore del libro “Cattivi Scienziati-la frode nella ricerca scientifica” edito da Add Editore, è la pubblicazione dello studio che negava l’utilità delle mascherine che era stato usato dall’OMS. Poi è stato ritirato uno studio che identificava il virus nel peritoneo. Anche la ricerca che descriveva la morte per Covid-19 di una donna incinta è stato ritirato e la stessa fine hanno fatto anche gli studi pubblicati sul New England Journal of Medicine relativi agli ACE inibitori e quelli che misuravano falsi positivi ai tamponi tra i pazienti asintomatici. Infine ed è cronaca di questi giorni due studi di Lancet: quello sulla tossicità clorochina e  che descriveva le condizioni di lavoro degli infermieri a Wuhan. “In aggiunta a queste ritrattazioni, potrei citarne altre, ma il messaggio non cambierebbe: non citate pubblicazioni a caso, nemmeno delle riviste più prestigiose, se non è passato qualche tempo o se non siete in grado di analizzarne il contenuto. Non sono le riviste a stabilire cosa è scienza, ma i colleghi degli autori che hanno pubblicato – e per questo ci vuole un minimo di tempo” ha concluso.