I data center? L’Italia ne ha 77 ed è nella top ten mondiale

  • di Lorenzo Nicolao, dal Corriere della Sera.it del 13 febbraio – “Perché è così importante avere più opportunità di raccogliere i dati sul proprio territorio? Secondo uno studio di Kingston Technology, il principale produttore indipendente di memorie al mondo per desktop, laptop, server, stampanti e memorie flash, i fattori scatenanti sarebbero tre: il primo è rappresentato dal dominio dell’on-demand digitale, con dati che vengono letteralmente divorati da social media, streaming e cloud storage. Il secondo riguarda il balzo che presto porterà tutti gli apparecchi dal 4 al 5G, praticamente l’incremento di velocità tra le 100 e le 800 volte rispetto alle reti esistenti. Il terzo infine è effetto dell’edge computing, quindi la necessità di ridurre la latenza e di elaborare e archiviare i dati sempre più in prossimità del luogo nel quale sono necessari”.

Ormai è pressoché assodato che la società contemporanea sia immersa dai dati, ma l’intera mole di informazioni oggi in circolazione dove viene raccolta? Si chiamano Colocation Data Center e nel mondo odierno sono fondamentali, grazie alla concessione di uno spazio fisico per ospitare i dati presenti nel server di ogni singolo utente. Sembra un po’ complesso, ma in termini sintetici basta rapportarli a dei magazzini nei quali si può raccogliere quello che sta diventando ogni giorno un bene sempre più prezioso nell’ambito della competizione economica e politica. L’età dell’oro dei big data trova però la sua materializzazione in questi centri specifici che al mondo sarebbero 4.709, secondo un censimento di Datacentermap.com, collocati in 126 Paesi diversi.

Fra i Paesi che seguono meglio l’onda di questo rinnovamento c’è anche l’Italia, perché il Belpaese ospita nel proprio territorio 77 Colocation Data Center, distribuiti in 30 aree geografiche diverse. L’Italia è sesta in Europa e rientra nella Top10 mondiale, anche se molto sbilanciata è la collocazione di questi centri sul suolo nazionale. Molto più presenti nel Nord e nel Centro Italia, la Lombardia da sola ne ospita oltre il 36%, mentre 24 sono solo a Milano, rispetto agli otto di Roma, quindi esattamente il triplo tra le due principali città. Il Sud parte svantaggiato ma fra le regioni del Meridione fa eccezione la Sicilia, che ne ha cinque tra le province di Palermo e Catania.

Ma perché è così importante avere più opportunità di raccogliere i dati sul proprio territorio? Secondo uno studio di Kingston Technology, il principale produttore indipendente di memorie al mondo per desktop, laptop, server, stampanti e memorie flash, i fattori scatenanti sarebbero tre: il primo è rappresentato dal dominio dell’on-demand digitale, con dati che vengono letteralmente divorati da social media, streaming e cloud storage. Il secondo riguarda il balzo che presto porterà tutti gli apparecchi dal 4 al 5G, praticamente l’incremento di velocità tra le 100 e le 800 volte rispetto alle reti esistenti. Il terzo infine è effetto dell’edge computing, quindi la necessità di ridurre la latenza e di elaborare e archiviare i dati sempre più in prossimità del luogo nel quale sono necessari.

La raccolta dei dati, soprattutto in prossimità, diventa quindi nel presente, e lo sarà sempre più nel prossimo futuro, un elemento cruciale e la porta di accesso principale verso il progresso tecnologico. Sempre più settori hanno infatti bisogno dei dati, da quello che può riguardare l’automotive, tra la guida autonoma e lo smart parking, al moltiplicarsi di prodotti IoT, che hanno necessariamente bisogno della possibilità di immagazzinare informazioni. Inutile poi ribadire che con la connessione 5G il mondo sarà sempre più connesso e capace di far viaggiare, in ogni singola infrastruttura urbana, enormi quantità di dati che rappresenteranno di fatto l’unità base della futura smart city. I big data si confermano così bene primario, ma anche disporre dei luoghi per raccoglierli non è un vantaggio strategico da poco.

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