Polo Strategico Nazionale, il monitoraggio dei dati nella PA Digitale

  • di Andrea Tiveron, direttore di e-Metodi da Bigdata4Innovation 15 giugno 2021 – “Fa discutere la notizia che la realizzazione del Polo Strategico Nazionale, soggetto giuridico controllato dallo Stato che avrà a disposizione data center nazionali su cui convogliare tutte le infrastrutture per i servizi strategici delle PA centrali, sarà affidata attraverso una gara pubblica a un consorzio e che tra i concorrenti vi debba essere sempre uno dei giganti del web. Questo solleva il problema dei dati”.

La realizzazione del Polo Strategico Nazionaleun soggetto giuridico controllato dallo Stato che avrà a disposizione un numero ridotto di data center nazionali, su cui convogliare tutte le infrastrutture che oggi gestiscono i servizi strategici delle PA centrali garantendo il funzionamento dei servizi cruciali del Paese attraverso standard di sicurezza, qualità ed efficienza, sarà affidata attraverso una gara pubblica a un consorzio e che tra tutti i concorrenti vi sia sempre la presenza di uno dei giganti del web (Microsoft, Google e Amazon). La notizia sta suscitando non poche perplessità da parte di molti. Le obiezioni sono per lo più riferite al fatto che essendo tali aziende tutte americane, sarà naturale imbattersi nel cosiddetto Cloud Act, la norma legislativa americana che prevede, su istanza del tribunale, la libertà per l’autorità giudiziaria di avere libero accesso a tutti i dati in possesso dei cloud provider americani, anche quando tali dati siano residenti in data center ubicati al di fuori del territorio americano.

Come mettere in sicurezza i dati nazionali

La risposta a questo spinoso problema – rispetto al quale altri paesi come la Francia hanno semplicemente affermato la volontà della totale sovranità nazionale sul dominio cibernetico, per la quale il cloud della PA francese può essere affidato solo a imprese di nazionalità europea che siano proprietarie di data center in Francia – sembra possa derivare per il nostro paese, imponendo “un robusto ed attento framework contrattuale” agli americani.

In realtà senza il pieno e totale controllo delle infrastrutture digitali non potremo rilanciare un Paese che sulla materia ha già compiuto scelte sbagliate. Basterebbe ricordare quanti e quali errori abbiamo compiuto con la fibra ottica, che ancora oggi è un asset da realizzare quando ne avremmo potuto disporre già da decine di anni (il riferimento è al cosiddetto Piano SOCRATE di Telecom Italia).

Si afferma che il motivo della presenza dei colossi del web americani dipenderebbe dalla necessità di utilizzare le tecnologie che solo gli americani e, forse anche i cinesi, detengono. Ma queste tecnologie sarebbero quelle necessarie per la realizzazione del cloud, cioè di una infrastruttura di data center ridondati geograficamente, perché per quanto riguarda il funzionamento dei calcolatori anche nel sistema francese è chiaro che si utilizzeranno tecnologie statunitensi a cominciare dai software al livello operativo.

Ebbene, come è possibile pensare che l’Italia con le sue maggiori aziende IT non sia in grado tecnologicamente di realizzare autonomamente tale infrastruttura e garantirne tutte le caratteristiche comprese quelle di sicurezza, qualità ed efficienza? Ma soprattutto, come è possibile aver innescato un progetto che mette in competizione tra di loro le eccellenze italiane invece che vederle compatte pronte a partecipare alla rivoluzione digitale della pubblica amministrazione del Paese?