- di Claudia Morelli da Altalex.com 7 giugno 2021 – “Conversazione con Guido Alpa sulla persona nella società digitale” –
Nella società digitale il diritto ha un compito “ingrato”: quello di difendere le persone da loro stesse e dal mercato dei propri dati.
All’idea liberale con la quale i giuristi delle nuove generazioni sono cresciuti, ossia quella di un diritto che nel privato e nel mercato era orientato a tutelare “l’individuo”, padrone della sua identità (unica), della sua autonomia e della sua libertà, oggi si sta giustapponendo una riflessione liquida, che sì parte dalla osservazione di ciò che sta accadendo in concreto, ma scruta l’orizzonte e traccia percorsi di sviluppi contro intuitivi.
“L’identità oggi è multipla. Ci rispecchiamo sì, ma in uno specchio frantumato. Il nostro io è sfaccettato: c’è l’io in quanto tale, proprio dell’individuo per come si percepisce e per come si costruisce rispetto agli altri; c’è l’io per come l’individuo sceglie di proiettarsi all’esterno; e infine c’è l’io per come l’individuo viene percepito all’esterno, dagli altri che ne ricostruiscono l’identità in base alla cultura e alle regole sociali”. E oggi anche in base alla manipolazione dei dati.
In questo magma di identità -una e triplice- è facile dare “del diverso” ed è facile anche essere “ingabbiati in qualche identità” subìta.
Il pensiero va subito alle bubble chamber o sistemi di scoring di vario genere, risultanti da algoritmi di AI.
Il giurista si chiede: oggi, rispetto all’individuo dalle molteplici identità, qual è l’oggetto del diritto?
Intervistare il professor Guido Alpa, nonostante gli anni passati insieme in Consiglio Nazionale Forense (lui come presidente ed io come responsabile Comunicazione) e il gran lavoro pratico compiuto, è sempre una sfida con tensione. A chi ascolta, spetta il compito di sintonizzarsi su un piano al contempo speculativo e concreto, pieno di rivoli da tenere a mente contestualmente per ricostruire la mappa del pensiero del giurista.
Una vita professorale e professionale, la sua, a metà tra l’iterazione progressista del diritto, per allargare l’area di protezione dei diritti più deboli; e le questioni “pratiche” tra grandi player del mercato da risolvere.
Alpa ha appena pubblicato, nella collana Krisis diretta da Massimo Cacciari e Natalino Irti de La nave di Teseo, il volume “Il diritto di essere se stessi”. Sin dalla preposizione prescelta nel titolo, il volume è una “dichiarazione di intenti”.
E allora partiamo da qui.
Professor Alpa, anche ammettendo di avere il diritto di essere noi stessi, chi siamo veramente, nella ricostruzione scomposta delle tante identità?
Per comprendere il punto di vista iniziale, racconto un aneddoto. Il titolo del volume che avevo proposto inizialmente utilizzava la preposizione “ad” (il diritto ad essere se stessi, ndr). Ma il professor Natalino Irti, dopo aver letto il lavoro, mi ha suggerito il cambio in “di”, intravedendo in una semplice preposizione (a proposito di linguaggio e sinteticità, ndr) la sintesi efficace della mia riflessione: la prospettiva di essere rappresentati sempre come si vorrebbe, il diritto di vivere con le proprie idee e le proprie convinzioni, senza avere costrizioni dall’esterno, senza essere emarginati o discriminati per quello che si è.
Il titolo attuale è infatti più assertivo. Però la sfida per il diritto e per l’ordinamento giuridico mi sembra di quelle da far tremare i polsi.
Né più né meno di quella che è sempre stata. Le confido una cosa: quando ero giovane, credevo che il diritto avesse unicamente una componente conservativa e costrittiva. Ma non è così: il diritto è ambivalente: ora conservativo/costruttivo ora liberatorio e garantista. È in questa continua oscillazione del pendolo, che il filo del diritto finora si è dispiegato in un percorso che -almeno nelle società democratiche- cerca di avanzare nelle tutele.
Però nel volume lei scrive di un diritto che espone l’identità al paradosso: la tutela giuridica richiede il riconoscimento giuridico; il riconoscimento da parte dell’ordinamento richiede la disclosure; ma la disclosure manifesta necessariamente “la diversità”, ne conferisce valenza pubblica.
Sì. A differenza di altre scienze che costruiscono l’identità sulla base di categorie ordinanti in continua evoluzione e con margini di approssimazione, il diritto costruisce l’identità come categorie vincolanti. Il diritto prescrive il modo di essere e di vivere delle persone. L’individuo non può sottrarsi a questo se non con l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità.
In questo percorso, allora, come si garantisce la tutela della identità più intima, senza svelarla?
Intanto, per capire che ruolo gioca il diritto occorre scomporre le disposizioni, decostruire la forma giuridica per metterne in risalto le sue componenti, andando alla radice dei termini e delle regole. Superare il concetto di diritto come gabbia, in cui ciascuno è costretto.
In questa identità sfaccettata, oggi emerge una identità digitale che ci appartiene sempre meno. È così?
Da una parte c’è l’identità per come noi vogliamo che appaia, per esempio sui social network; dall’altra parte, c’è l’identità che emerge dalla manipolazione che dei nostri dati effettuata da piattaforme e algoritmi.
Il capitolo del volume dedico alla Identità digitale si apre con la citazione di Stefano Rodotà.
Elaboratori elettronici e controllo sociale, volume del 1973, è stato un libro storico e profetico. Si può accostare all’orwelliano 1984, quasi fosse un seguito. Nel volume, Rodotà evidenziava già come le informazioni aggregate potevano essere manipolate dalle nuove tecnologie, che mettevano a disposizione nuovi strumenti a chi governa la società , la politica, l’economia, la finanza Nella raccolta delle informazioni, nel mito del consenso, nella gestione e nel controllo delle banche di dati si ridefinisce un “quadro istituzionale” che postula l’intervento urgente del legislatore, lamenta l’insufficienza dell’intervento giudiziale (utile, ma sporadico e occasionale), denuncia l’assenza di mezzi di protezione della persona , disvela gli scopi occulti e illegittimi delle pubbliche amministrazioni.
Ed allora non vi erano i Big Data! Oggi il pensiero rivoluzionario del prof. Rodotà – che comunque ha avuto il merito di concretizzarsi in una griglia di norme a tutela dell’individuo (la legge sulla privacy n. 675/1996; la Carta europea dei diritti fondamentali, fino al Regolamento Data protection), costituisce un argine sempre più debole al cospetto della innovazione…
Ha tracciato una strada, invece. Innanzitutto ha distinto tra tutela della riservatezza/privacy e tutela dei dati personali. E poi ha avvisato che senza una forte tutela delle informazioni che le riguardano, le persone rischiamo di essere discriminate per le prporie opinioni; senza una forte tutela dei dati “politici” rischiano la esclusione; senza una forte tutela del “corpo elettronico”, la stessa libertà personale è in pericolo.
Lei scrive che intravede un regresso dal sapore mercatista.
Lo intravedo nella libera circolazione dei dati, nella possibilità di commercializzarli da parte dell’interessato senza limiti, sempre che non si costruisca una barriera giurisprudenziale dettata dal rispetto della dignità della persona.
Qui giunge ad una provocazione: abbiamo il diritto di essere noi stessi ma non siamo proprietari di noi stessi…cosa significa?
Attualmente, nella società digitale, abbiamo tre indirizzi normativi a livello comunitario: il primo concerne la protezione dei dati come diritto della personalità; il secondo concerne la costruzione del mercato dei dati; il terzo concerne la disciplina dei contratti a contenuto digitale. Ebbene, queste tre linee normative non sono accuratamente coordinate e spetta all’interprete ricostruire il sistema con l’avvertanza che non si è consolidato un diritto privato europeo.
Si sofferma proprio sui contratti a contenuto digitale, che postulano uno scambio tra dati personali e servizi. Siamo già al mercato dei dati?
Mi viene in mente una proposta di direttiva del 2015 (COM 634), anteriore al Gdpr, volta a disciplinare i contratti di fornitura di contenuto digitale, che prende in considerazione proprio lo scambio tra dati personali e servizi offerti. Alcuni considerando della direttiva aprono al conferimento di un valore costituito dei dati trasferiti per l’acquisizione di una fornitura.
Intravede un pericolo?
Certamente, senza considerare che vi sono alcuni dati non cedibili, com quelli inerenti alla personalità (inalienabili) e altri che non si trasferiscono in proprietà ma solo in uso, come l’indirizzo o le informazioni riguardanti la professione, gli interessi culturali. In più non si riscontra la esclusività nella trasmissione di dati. Tutte considerazioni che portano ad escludere la possibilità di costruire un diritto di proprietà dell’interessato sui propri dati e quindi il trasferimento della loro proprietà all’impresa controparte.
La Commissione però stabilisce il principio della libera circolazione dei dati
Una cosa è la libera circolazione dei dati; altra è la libertà di comnercializzare i dati. Vi è un salto logico. Ecco perché la persona deve essere tutelata da sé stessa.
Facciamo un esempio pratico…
I dati medici possono circolare, ma anonimizzati e mai a scopo di “commercio”, diretto e/o indiretto.
Certo, è un bell’avvertimento alle assicurazioni… per esempio…
Anche negli USA, dove vi è una dottrina più aperta alla commercializzazione dei dati, vi sono le voci contrarie, soprattutto di autrici che invocano la tutela della dignità. Si possono capire i dubbi e le incertezze che tormentano la dottrina anche in Italia. Il mercato digitale ha le sue esigenze e non possiamo essere troppo intransigenti. Occorre trovare il giusto bilanciamento: l’homo dignus è anche l’homo economicus e la globalizzazione ha i suoi diritti.
Un altro tema legato alla identità digitale è la profilazione del consumatore.
Sa chi nella storia ha, per la prima volta parlato di cittadini “consumatori”? John F. Kennedy nel 1962, per indicare che nella economia di mercato vi era una parte debole. Il concetto di consumatore nasce collegato alla idea di concorrenza e delle regole del mercato. In ambito comunitario, la Commissione sta costruendo ora il mercato unico digitale.
Intravede nel prossimo futuro un habeas cyber-corpus?
Senz’altro vedrei il diritto di accesso a Internet come diritto costituzionale; con riguardo alla tutela della fisicità umana anche nella sua espansione cyborg, al momento stiamo costruendo un sistema di norme sulla responsabilità del costruttore e del provider. Vi è poi il tema dell’hackeraggio della componente cyborg per assumere il controllo della persona. Un caso storico è stato trattato dal Tribunale tedesco che ha fissato il principio di autodeterminazione informativa come espressione del diritto alla tutela dei dati personali, fondato sui principi costituzionali del diritto al libero sviluppo della propria e all’intangibilità della dignità dell’uomo. E’ doveroso un richiamo forte all’integrazione di principi etici nella programmazione. Ci avviamo al termine della conversazione…
La parabola del diritto romano è alla sua fine, come pare prefiguri Aldo Schiavone nel libro IUS?
Il diritto è una scienza sociale ineliminabile. Ciò che rimane della tradizione romanistica è reinterpretato alla luce del progresso e della innovazione. Il diritto rimane aperto verso il futuro ma dobbiamo essere consapevoli che la conquista dei diritti è un processo senza fine; è una riconquista, giorno per giorno.
Viviamo una epoca incerta. Cosa consiglierebbe ai giovani giuristi?
Nel 1940, alla vigilia della II guerra mondiale, consapevole del futuro prossimo Piero Calamandrei invitò i giovani giuristi ad “avere fede nel diritto”. Questo invito va oltre il richiamo al dovere professionale di tutela dei diritti altrui; vi leggo l’invito ad avere cura del diritto e dei diritti, per sé stessi e per gli altri.
In CNF, sotto la presidenza Alpa, venne organizzata una mostra dedicata proprio all’inedito “Fiducia nel diritto” di Piero Calamandrei. La ricordo con la brochure di presentazione che progettammo all’epoca.