E’ un vero e proprio cahiers de doléances della sanità pubblica italiana quello pubblicato oggi sulla rivista The Lancet Public Health da un gruppo di scienziati e medici italiani . L’articolo segnala diversi temi: dalla carenza di medici ai problemi di accesso alle scuole di specializzazione fino alla fuga dei cervelli e alle disuguaglianze dei servizi sanitari tra Nord e Sud.
Sono questi, in estrema sintesi, i principali problemi che colpiscono la sanità italiana che potrebbero essere superati se il governo fosse disposto ad applicare una serie di misure riguardanti l’accesso alla formazione e un maggior investimento in ricerca.
Tra i firmatari Alfredo Mazza, dirigente cardiologo dell’Asl Salerno e docente dell’Università Federico II di Napoli; Antonio Scala, ricercatore dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche e presidente della Big Data in Health Society; Prisco Piscitelli, medico epidemiologo dell’Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo e vicepresidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA); e molti altri ancora.
“Abbiamo voluto evidenziare – spiega Mazza a Bigdatainhealth.org – il danno alla sanità della regionalizzazione, della gestione politica non meritocratica e senza strategie nazionale concrete. In una sanità divisa tra Nord e Sud, abbiamo due realtà diverse per gestione e fondi, in un panorama aggravato dalla fuga dei giovani medici – ma anche degli adulti – ed altre figure professionali sanitarie verso Paesi più seri che garantiscono stipendi e carriere migliori”. “Inoltre – aggiunge – aggiunge – la sanità è ormai un’azienda complessa e se qualcuno non lo avesse capito va gestita in modo moderno e tecnologico: i big data che non riusciamo a immagazzinare e gestire ne sono un esempio eclatante”. “Ci vuole – dice – una rivoluzione copernicana nella formazione delle figure sanitarie e nelle strutture sanitarie. Una sanità aperta all’internazionalizzazione con gemellaggi con ospedali europei con cui scambiare conoscenze tecniche e risorse umane. Poi creazioni di direzioni scientifiche in ospedali e Asl per innovare un sistema medioevale: facciamo presto, prima che crolli tutto tra spese sanitarie e mal gestione strategica di uomini, mezzi e strutture.
“Il governo dovrebbe concentrarsi correttamente sull’attuazione della legge introdotta nei primi anni ’90, con l’obiettivo di pianificare l’accesso alle scuole mediche, sulla base delle esigenze future, piuttosto che ridurre il numero degli studenti di medicina”, scrivono gli autori.
Sulla rivista si fa riferimento al problema della fuga dei cervelli: “durante gli ultimi decenni migliaia di medici e ricercatori formati dalle università pubbliche italiane hanno lasciato il paese a causa delle scarse opportunità, dei ritardi burocratici nelle procedure di assunzione, del ruolo prominente dei sindacati, dei salari inadeguati e delle scarse prospettive di carriera su risultati misurabili (vale a dire, meritocrazia). Secondo gli scienziati e i medici italiani, ulteriori problemi si sono aggiunti dopo la riforma costituzionale del 2001, quando si è passati all’organizzazione regionale dei servizi sanitari.
Questo avrebbe portato a un aumento delle disuguaglianze tra Nord e Sud Italia senza ridurre i costi. “Infine, persistono sostanziali discrepanze tecnologiche tra le piccole strutture ospedaliere e i grandi ospedali universitari, e tra i settori pubblico e privato”, scrivono gli autori. “Il sistema sanitario italiano – continuano – può essere migliorato solo collegando le cure mediche e la ricerca con un approccio etico e meritocratico. Crediamo che la ricerca e l’innovazione siano le uniche soluzioni per le disuguaglianze sanitarie”. Secondo i ricercatori italiani, quando la ricerca medica e scientifica hanno la priorità i cittadini ricevono cure mediche migliori. Invece, oggi un gran numero di pazienti si sposterebbe dal Sud al Nord Italia convinti di trovare eccellenze solo nel Settentrione.
Gli autori dell’appello sono convinti che tutti gli attori che operano all’interno del sistema sanitario (compresi i medici generici, specialisti, infermieri e personale amministrativo) dovrebbero essere coinvolti in un processo che prevede l’adozione di tecnologie innovative e un aumento del livello attualmente basso di digitalizzazione, telemedicina, gestione dei Big Data, assistenza domiciliare, in particolare per i pazienti con condizioni croniche e anziani.
“E’ necessario un nuovo ruolo potenziato delle associazioni di professionisti medici (ad es.la FNOMCEO e le locali OMCEO) per attrarre talenti finanziando posizioni di dottorato (come si fa a Lecce), promuovendo gemellaggi internazionali tra ospedali, e migliorando la salute a livello locale, soprattutto nelle aree svantaggiate”, scrivono i ricercatori. “Solo attraverso questi sforzi mirati alla promozione della salute individuale e collettiva il governo italiano può stimolare cure di buona qualità ovunque (compreso nelle località periferiche), aumentare la coesione sociale, la fiducia dei pazienti e la motivazione dei medici di attuare a pieno la propria missione”, concludono.