Covid-19, come sono stati gestiti dati e comunicazione? Un’analisi

Il confronto tra Antonio Scala, Pierluigi Lo Palco, Antonio Gaudioso, Marco Delmastro, Nino Cartabellotta e Giovanni Rezza nel talk condotto da Flavia Fratello ed ospitato da Big Data in Health Society in collaborazione con IGOR Comunicazione

di Tommaso Caldarelli per Sanità & Informazione

«Ho trovato interessante che negli allegati ai DPCM che riguardavano l’emergenza coronavirus ci fossero degli algoritmi: dei veri e propri diagrammi di flusso che, in base alla situazione, indicavano quale strada si sarebbe dovuta prendere. Operazioni di questo genere, però, dipendono dai dati che si hanno a disposizione: e devono essere dei dati di buona qualità». Così la relazione di apertura di Antonio Scala, presidente di Big Data in Health Society, ha impostato il flusso di interventi del webinar “Covid-19, Gestione dei dati, gestione delle fasi. Un bilancio” che ha visto, con l’attenta moderazione di Flavia Fratello giornalista di La7, scambiarsi idee e opinioni Pierluigi Lo Palco, Antonio Gaudioso, Marco Delmastro, Nino Cartabellotta e Giovanni Rezza.

Proprio quest’ultimo, direttore generale della Prevenzione presso il ministero della Salute, muovendo dalle considerazioni di Scala ha aggiunto: «La fase due, da un certo punto di vista, rischia di essere più pericolosa della fase uno. In fase uno stavamo tutti lì a controllare gli incrementi e il dato dei contagi, la fase due è più insidiosa perché si scatena il derby sui numeri e anche una poco auspicabile diatriba fra studiosi. In Germania l’unico ente titolato a parlare è il Robert Koch Institute che fa le sue previsioni: lavorare in una prospettiva di Open Data è certamente interessante e auspicabile, ma se non c’è un metodo unificato per tutti gli attori in campo l’intera vicenda si risolve in una cacofonia. Oggi sappiamo che bisogna stare attenti alle allerte precoci, ai dati che arrivano dai pronto soccorso e ai dati dei ricoveri: informazioni del genere si basano sulla collaborazione con gli enti regionali e durante la fase uno, prima che partisse questa macchina, onestamente c’è voluto del tempo; questo perché gli enti hanno una ben nota carenza di personale e non possono interamente dedicarsi al data mining».

Pierluigi Lopalco, epidemiologo presso l’università di Pisa e a capo della task force coronavirus della Regione Puglia, si è concentrato sulle pratiche e sugli esiti della comunicazione scientifica promossa dagli enti istituzionali: «Di dati nelle settimane scorse ne abbiamo visti fin troppi, il problema reale è stato che nessuno li spiegava. Hanno fatto irruzione nel dibattito pubblico dei concetti altamente tecnici come “il calcolo dell’indice R0”; parliamo di un livello di profondità che nemmeno è richiesto a molti medici. La comunicazione scientifica non può essere utilizzata come una clava, è necessario che i numeri vengano contestualizzati e spiegati e sarebbe importante che a farlo fosse un team multidisciplinare, composto da giornalisti, antropologi, psicologi, sociologi. Ognuno di essi ha la competenza adeguata per assolvere ad una parte di questo difficile lavoro comunicativo».

Sulla stessa linea Antonio Gaudioso di Cittadinanzattiva: «Dal punto di vista del cittadino abbiamo visto troppi provider di informazione e non si sapeva a chi potersi affidare, quale fosse la fonte giusta. Voci contrastanti sia nel mondo della scienza che in quello delle istituzioni, basti pensare che a un certo punto c’erano regioni che annunciavano una riapertura in tempi diversi e addirittura comuni che dicevano che avrebbero disapplicato in un senso o in un altro le deliberazioni dell’ente regione».

Ha aggiunto Nino Cartabellotta, direttore della Fondazione GIMBE che realizza da settimane un monitoraggio indipendente sui dati del Covid alimentato dai dati ufficiali: «Noi sappiamo bene che il virus circola ancora, sappiamo che possono nascere dei nuovi focolai che devono essere subito affrontati e spenti e questo non può non dipendere da un aumentato livello di sorveglianza che deve essere integrato a tutti i livelli. Dire che “il virus ha una carica virale ridotta”, “il virus è spompato”, e molte altre considerazioni che sento quotidianamente sono forse avvincenti, ma per ora non trovano nessun riscontro nella letteratura e nell’evidenza scientifica».

«La scienza ha dei limiti, come tutti i fenomeni umani è perfettibile», ha, sul punto, incalzato Marco Delmastro, Autorità garante per le Comunicazioni: «Bruno Latour, sociologo e filosofo, scrive molto sulla comunicabilità della scienza e nelle sue critiche parla addirittura del “mito della scienza”. A volte la scienza ufficiale è stata frettolosa, il Lancet e il New England Journal of Medicine hanno dovuto ritirare due paper che avevano pubblicato per delle imprecisioni: questo è un virus nuovo e non è possibile avere informazioni così precise senza un tempo significativo di studio e di analisi. Ecco allora che la comunicazione è davvero fondamentale. Sarebbe importante che la scienza, quando si comunica, comunicasse anche le proprie regole di ingaggio e i propri limiti».