- di Gianluca Polifrone, autore di “Sanità Digitale. La rivoluzione obbligata per un modello sanitario omogeneo, efficiente e giusto”, Edizioni LSWR novembre 2020 – “Partiamo col dire che a 21 sistemi sanitari regionali corrispondono, senza dubbio alcuno, uno sterminato numero di sistemi informatici sanitari dislocati nelle diverse strutture/presidi pubblici anche all’interno della medesima regione. Per cui in questi nove mesi di epidemia da coronavirus, i danni che ha provocato questa frammentazione – o “virus dell’inefficienza”- è drammaticamente sotto gli occhi di tutti. Ma lasciatemi dire con molta franchezza che il “virus dell’inefficienza”, ergo frammentazione, non infetta solo il livello regionale nel suo complesso. Ma in alcune regioni il virus trova ospitalità all’interno delle stesse ASL, e dei singoli ospedali dove il livello di digitalizzazione si riduce al mero utilizzo della posta elettronica e alla conservazione dei dati sanitari sulle cartelle di rete o peggio ancora sui file excel. I danni che il “virus dell’inefficienza” provoca sono ben piu’ gravi ed irreversibili di cio’ che una politica, burocrazia compresa, miope possa immaginare”.
Recentemente la sanità digitale è entrata di prepotenza nell’agenda politica, dopo avere bussato per anni alla porta della stessa ed essere rimasta per lungo tempo quel classico tema importante che nessuno, però, ha mai percepito nella sua stringente necessità. Dopo avere trascorso molto tempo a sostenere – più ancora che l’utilità – l’inevitabilità di questa rivoluzione, oggi che ne abbiamo toccato con mano la necessità, non possiamo fare a meno di sostenere con forza una posizione che era già tale ben prima degli eventi legati alla pandemia da SARS Covid-19: la sanità digitale è un argomento centrale per il Paese e questa riforma va sostenuta con mezzi adeguati e risolutezza nella Governance.
Averlo detto in tempi non sospetti non è un vanto: nessuno gode nell’essere Cassandra (a proposito: Cassandra, lungi dall’essere profetessa di sventura, si limitava a dire il vero, ma aveva la sfortuna di non essere creduta), ma non era necessario indossare le vesti degli indovini per comprendere come il SSN avesse (abbia) bisogno, per tenere fede alla missione universalistica per cui è nato, di essere messo nella condizione di funzionare in maniera adeguata, cioè nel rispetto dei tempi, delle tecnologie e delle possibilità che stiamo vivendo.
Siamo consapevoli del fatto che la nostra formazione profonda è umanistica, assai più che scientifica, e dunque guardiamo all’informatizzazione come a un fatto culturale e non come a uno strumento. È possibile quindi che vi sia un po’ di timore nell’adottare un sistema che genera semplicità non interpretabili, ma non è questa la sede per fare antropologia culturale: a noi interessa molto di più spingere il tema della sanità digitale, per fare vedere come può aiutarci, per ricordare che non è una panacea e dunque possiede comunque limiti intrinseci al suo corretto impiego, e come l’intero processo di digitalizzazione della sanità spinga verso una rettifica degli attuali assetti istituzionali specialmente per ciò che riguarda gli equilibri tra Stato e Regioni.
La pandemia ha fatto emergere con chiarezza che 21 sistemi sanitari, perché questo si è determinato con la riforma del titolo V, non rappresentano certamente un modello efficace ed efficiente per un Paese che vuole essere innovativo e pronto a rispondere ad una emergenza sanitaria di questa portata.
Ma andiamo ad analizzare nel dettaglio le conseguenze che ha provocato il “virus dell’inefficienza” nei 21 sistemi sanitari regionali in chiave informatica e quindi tecnologica.
Partiamo col dire che a 21 sistemi sanitari regionali corrispondono, senza dubbio alcuno, uno sterminato numero di sistemi informatici sanitari dislocati nelle diverse strutture/presidi pubblici anche all’interno della medesima regione. Per cui in questi nove mesi di epidemia da coronavirus, i danni che ha provocato questa frammentazione – o “virus dell’inefficienza”- è drammaticamente sotto gli occhi di tutti. Ma lasciatemi dire con molta franchezza che il “virus dell’inefficienza”, ergo frammentazione, non infetta solo il livello regionale nel suo complesso. Ma in alcune regioni il virus trova ospitalità all’interno delle stesse ASL, e dei singoli ospedali dove il livello di digitalizzazione si riduce al mero utilizzo della posta elettronica e alla conservazione dei dati sanitari sulle cartelle di rete o peggio ancora sui file excel.
I danni che il “virus dell’inefficienza” provoca sono ben piu’ gravi ed irreversibili di cio’ che una politica, burocrazia compresa, miope possa immaginare.
Si discute da oltre 10 anni, nei talk show e formule convegnistiche di ogni genere, dell’importanza dei dati sanitari (referti, degenze/ricoveri ospedaliere, cure farmacologiche) ma nessuno indica come dobbiamo superare concretamente queste modello gestionale arcaico che si traduce nella conservazione dei dati sanitari in modalità altrettanto arcaiche tali da rendere difficilissimo il loro consulto sia per i medici, figuriamoci per i pazienti, o peggio ancora per i medici del territorio. Da qui si comprende che il famigerato e ormai datato Fascicolo Sanitario Elettronico potrebbe rappresentare, se decollasse realmente con l’impegno di tutti gli attori coinvolti, parte di quel vaccino utile ad indebolire questo maledetto “virus dell’inefficienza”.
Le complicanze inflitte al SSN da parte del “virus dell’inefficienza” le subiscono tutti quei cittadini che in queste ore stanno tentando invano di prenotare online un tampone sui siti web inadeguati dell’ASL che se sovraccarichi vanno offline con un niente, o chi aspetta la tanto attesa telefonata da parte dei presidi pubblici dopo aver ricevuto il referto positivo di un tampone. O chi si è ritrovato nella paradossale situazione di aver prenotato un tampone che poi non è riuscito a disdirlo perchè nessuno risponde; però a distanza di giorni riceve la telefonata dell’esito positivo di un tampone che non ha mai fatto. Capita pure questo.
Per non parlare del fallimento dell’App Immuni legato anche all’impreparazione delle ASL di inserire nei propri sistemi informatici quel codice a barre generato al cittadino che è risultato positivo al tampone e che di default avrebbe dovuto attivare il sistema di allert a tutti i suoi contatti.
Sembra banale dirlo ma il “virus dell’inefficienza” conosce un solo vaccino: una presa di coscienza generale di tutti gli attori coinvolti poiché la digitalizzazione (in medicina) in realtà deve diventare una vera e propria trasformazione di paradigma. Infatti lo scopo ultimo e finale di tale rivoluzione è quello di giungere a una amministrazione paperless. Si tratta di un passaggio che comporta diversi vantaggi: consente il monitoraggio costante delle prestazioni erogate, riduce il rischio di possibili errori, smarrimenti, difficoltà di gestione del cartaceo. È un passaggio inevitabile per il perseguimento di obiettivi di efficienza, efficacia, economicità e sicurezza nell’erogazione delle cure.
Si tratta, in definitiva, di usufruire di una serie di servizi che risultano già ben noti al pubblico nel momento in cui sono in grado di padroneggiare servizi on-line connessi. Solo per fare alcuni esempi tratti dall’esperienza pratica, alla richiesta di servizi e forniture, con la consegna a domicilio di beni (in questo caso, farmaci o presidi di altro genere) ora disponibili solo ed esclusivamente in ambiente ospedaliero. Ma ciò andrebbe anche a presupporre una differente organizzazione della medicina di territorio, che verrebbe coinvolta in maniera molto più diretta e responsabile nella gestione, per esempio, delle cronicità. L’insieme di queste inefficienze equivale ad una inevitabile pandemia parallela, che sta facendo saltare il banco del sistema sanitario centralizzato e focalizzato sull’ente ospedaliero così come noi lo conosciamo e così come è stato implementato negli anni ’90, anche se con risultati e modelli differenti da Regione a Regione.