Molto meglio uscire dal lockdown in maniera graduale, regione dopo regione e cercando di tenere a casa il più possibile i giovani e gli anziani. Per l’inizio della fase due,
indovinare i tempi e le modalità giuste è cruciale. Basta un semplice ritardo o anticipo, o una scelta sbagliata in merito a quali aree liberare prima o dopo, o in relazione alla categoria di persone, per andare incontro ad effetti nefasti come un ritorno dell’infezione con picchi anche più alti di quelli che faticosamente stiamo superando in questi giorni dopo circa un mese di chiusura totale. Lo hanno messo nero su bianco un gruppo di ricercatori italiani guidati da Antonio Scala, presidente della Big Data in Health Society e ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, da Walter Quattrociocchi dell’Università Cà Foscari e da Fabio Pammolli del Politecnico di Milano e del Centre for Analysis Decisions and Society, Human Technopole, che hanno pubblicato un preprint su ArXiv.org, la repository per gli studi scientifici in attesa di peer review.
I ricercatori hanno costruito ed analizzato degli scenari coerenti con i dati scientifici ed
epidemiologici fin qui raccolti sulla pandemia Covid-19 in Italia ed hanno verificato, grafici alla mano, cosa può succedere sulla scorta di una serie di scelte che possono essere fatte per uscire dal lockdown che tiene chiusi gli italiani nelle loro abitazioni dal 9 marzo scorso. Le ipotesi, che sono anche quelle al vaglio del governo, sono infatti diverse. Si può’ decidere di far uscire dal blocco tutto il paese, in una sola volta, oppure un pò per volta, magari Regione per Regione. Infine, si può pensare di far uscire dal lockdown solo determinati gruppi di cittadini, come per esempio i giovani, o quelli in età da lavoro, o gli anziani. Sono tutte scelte plausibili, scelte di cui i ricercatori hanno vagliato il loro impatto specifico sulla evoluzione della curva epidemica, e cioè sul modo e sui tempi con cui il virus si propaga nella popolazione stessa prima di venire a scemare. Uno dei primi risultati che emergono da questa ricerca è che la tempestività di applicazione delle misure di contenimento e di distanziamento sociale, pur avendo l’effetto di ritardare i tempi, incide poco sull’andamento generale dell’epidemia che può ripartire una volta che tali misure vengano rilasciate. Ugualmente importante, ai fini di uno scenario sostenibile anche il modo con cui viene applicato il lockdown: come si legge nell’articolo, una quarantena troppo stretta può infatti dare la falsa illusione di aver debellato l’epidemia, per vederla poi riprendere come se nulla fosse successo una volta rilassati i vincoli. Questo però non sembra essere il caso dell’Italia, in cui il blocco ha fermato solo una percentuale della popolazione e della mobilità: “Le nostre stima per il blocco italiano ci fanno sperare che, forse, non sarà necessario seguire una strategia di blocco e rilascio
ripetuto nella fase post-blocco” scrivono. D’altra parte, se si riuscisse a calibrare con efficacia mirata il grado la percentuale di popolazione isolata e la sua specifica articolazione in termini
territoriali e in di classi di età, senza interrompere l’economia “l’epidemia potrebbe essere
contenuta fino alla creazione, produzione e distribuzione di un vaccino”.
I ricercatori puntualizzano inoltre l’importanza che ha il raccogliere dati regionali e provinciali, per evitare che “le dinamiche locali rischino essere mascherate osservando il sistema nazionale aggregato”. L’osservazione delle dinamiche regionali, corroborata dall’analisi di mobilità inter-regionale basata sui dati Facebook, fa concludere ai ricercatori che, mentre la mobilità è probabilmente la causa dei ritardi nella partenza dell’epidemia osservati fra le regioni, “il contagio si sviluppa indipendentemente all’interno di ciascuna regione una volta iniziata l’epidemia”, ovvero “dopo che sono iniziate le epidemie all’interno delle singole regioni, l’influenza dei contatti con altre regioni diventa presto irrilevante”. Questo argomento indica la possibilità di poter continuare a mantenere – seppur con le procedure ed i livelli di sicurezza adeguati – i collegamenti ed i trasporti essenziali senza introdurre nuovi rischi. Argomenti analoghi possono essere applicati anche in ambito internazionale, dove le dinamiche delle epidemie nei vari i paesi sono analoghe a quelle tra le nostre regioni: arrivata l’epidemia, più che sulle frontiere la lotta va fatta all’interno. Le nazioni che colpite per prime, possono quindi anche uscire per prima dall’epidemia ed aiutare le altre facilitando la ripresa globale. La ricerca ha poi esaminato se sia migliore, in termini di mitigazione del contagio, far uscire dal blocco ogni singola Regione, rispettando la specificità di ciascuna epidemia in atto, o se invece, procedere a uno sblocco generalizzato e simultaneo su tutto il territorio nazionale. “I risultati mostrano che molto probabilmente, sarebbe meglio uscire dal lockdown con un calendario cadenzato sulla base dell’evoluzione dell’epidemia di ogni singola regione”. Fattore forse anche più importante appare la struttura dei contatti sociali: ignorarla, potrebbe portare a una grave sottovalutazione degli effetti post-blocco. “Le strategie basate sulla classe di età – si legge nel paper – possono aiutare a mitigare gli effetti di rimbalzo dell’epidemia”.
Dai dati emerge “che sia i giovani (0-19) che gli anziani (70+) sono le classi che possono avere una maggiore influenza sulla fase post-lockdown”. Dall’analisi dell’impatto di politiche di lockdown per fasce di età, appare quindi possibile limitare la possibilità di una ripresa del contagio pur rilassando le misure di blocco per la classi in età lavorativa.