- di Enrico Martial da StartMag – “La bozza di PNRR messa a punto dal governo Draghi l’11 marzo rileva tre gruppi di problemi cui intende dar risposta. Il primo è lo scarto sulle dotazioni tecnologiche rispetto ad altri Paesi, in particolare per l’obsolescenza, il secondo è sulla diffusione delle tecnologie digitali, il terzo è sulle competenze”.
La digitalizzazione in sanità non nasce oggi. Abbiamo il Fascicolo sanitario elettronico (FSE), la ricetta dematerializzata, esami e refertazioni elettroniche, sono cresciuti i database. I centri unici di prenotazione (CUP) non esisterebbero senza un’infrastruttura e processi digitali, così come il funzionamento dei centri di soccorso e della medicina di emergenza. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR o Recovery Plan) interviene su una materia esistente: i soldi di questa componente sono dunque complementari quelli che già si spendono, considerando gli 1,4 mld censiti nel 2018. Al netto degli interventi antisismici da 5,6 mld e della ricerca per 300 mln, considerando una media di 1,5 mld all’anno, il Pnrr aggiungerebbe circa 350 ml all’anno di soldi “nuovi” per il digitale (+35%, si tratta di 2,63 mld su 7 anni). Anche all’interno del programma si trova il concetto di soldi “nuovi” e di accelerazione di progetti già tracciati, perché i 2,63 mld si aggiungono a quelli già “esistenti” per 1,98 mld rilevati dal programma, sempre concentrati nel digitale.
L’accelerazione dei progetti esistenti non è l’unico valore aggiunto. Infatti, il Pnrr diventa un promotore della digitalizzazione in sanità da un lato per il contesto politico-legislativo europeo (compresi l’interoperabilità e il confronto/concorrenza con gli altri Paesi membri) e dall’altro per l’effetto di strategia complessiva che ne deriva.
La bozza di PNRR dell’11 marzo rileva tre gruppi di problemi. Il primo è lo scarto sulle dotazioni tecnologiche rispetto ad altri Paesi, in particolare per l’obsolescenza, il secondo è sulla diffusione delle tecnologie digitali, il terzo è sulle competenze.
NUOVE DOTAZIONI TECNOLOGICHE PROGRAMMATE
Sul primo punto, delle dotazioni tecnologiche, i numeri parlano: in Francia, Danimarca e Svezia, tra il 60% e il 70 % delle apparecchiature ha meno a 5 anni. In Italia hanno più di dieci anni circa il 24 % delle Tac, il 27% delle risonanze magnetiche, circa il 31 % degli angiografi, il 74 % dei sistemi per mammografia e il 50 % dei ventilatori polmonari, cioè macchine meno efficienti nei risultati e quindi anche per i costi indiretti.
La risposta del Pnrr lascia intendere che esiste un elenco di macchine con destinazioni già assegnate a singoli ospedali e Asl: si prevede di acquistare 2.648 nuovi dispositivi medici. Si tratta in particolare di 305 TAC a 128 strati, 167 macchine a risonanza magnetica, 83 LINAC, 863 sistemi radiografici fissi, 154 sistemi per angiografia, 75 Gamma-Camere, 44 CT Gamma-Camere, 295 apparecchiature per mammografia, 662 sistemi a ultrasuoni. Si intuisce che si tratta di una parte del Pnrr gestita dalla direzione programmazione del ministero della Salute. Il valore di spesa è di 2 miliardi di euro, a cui si aggiungono 1,41 mld già disponibili, per un totale di 3,41 mld di euro.
AVANTI SU FASCICOLO SANITARIO, CLOUD E I BIG DATA
Sulla digitalizzazione andiamo ancora meno bene: solo il 1,2 % della spesa sanitaria pubblica italiana è destinata alle tecnologie digitali. I 22 euro spesi procapite per la sanità digitale in Italia (i citati 1,4 mld del 2018) si confrontano con i 70 euro procapite in Danimarca, i 60 euro in Germania (che si lamenta di essere indietro e sta avviando un nuovo programma di investimenti) o i 40 euro in Francia. Il nostro tasso di crescita è solo del 7%; nel 2020 l’Italia è al 25esmo tra i 27 Paesi membri nell’indice DESI (Digital Economy and Society Index), cioè in una posizione da brivido.
La risposta del Pnrr è nella digitalizzazione di 177 strutture ospedaliere di primo livello e nel rafforzamento di infrastrutture e gestione dei dati a livello regionale e centrale. Gli ospedali non sono dunque tutti interessati dalla misura, ma principalmente quelli di base, proprio perché il Pnrr finanzia solo una parte dell’intera spesa per la digitalizzazione.
Per la seconda sezione della misura – infrastrutture e dati – il centro dell’attenzione è sul Fascicolo sanitario elettronico (FSE), che deve progredire. Infatti, la diffusione e utilizzo da parte dei medici è soddisfacente in solo 3 Regioni, mentre in 9 ha un tasso di attivazione inferiore al 50%. In 10 regioni è attivato da meno della metà dei cittadini, in 6 regioni è inchiodato all’1% e quindi non è neppure partito e solo in 4 regioni più della metà dei cittadini lo usano.
La risposta del Pnrr è in un programma delineato per tappe. Intanto resta centrale l’interoperabilità (e maggiore uniformità) cioè l’accesso sia sul piano nazionale che sul piano europeo, nel quadro della strategia E-Health della Direttiva 2011/24. Ci sarà quindi il rafforzamento e l’evoluzione piattaforme regionali per il trattamento e l’archiviazione dei dati del FSE in formato interoperabile “CDA2” (Clinical Document Architecture release 2) e il sostegno ai produttori dei dati stessi. Si svilupperanno piattaforme di telemedicina per tappe (interventi in 5 regioni le 2022, in 7 nel 2023, in 9 nel 2024) e di quattro nuovi flussi (per esempio i dati su una patologia cronica, in 2 regioni pilota nel 2021, in 10 regioni nel 2022, in 9 nel 2023).
Saranno potenziate le infrastrutture tecnologiche centrali del ministero, con un sottinteso riferimento al cloud della sanità, come processo generale europeo di un cloud della pubblica amministrazione, interoperabile con gli altri Paesi membri. Ci sarà una parte dedicata alla gestione dei Big Data e dell’intelligenza artificiale, con capacità di previsioni e proiezioni, anche riferite al completamento del Polo nazionale di prevenzione sanitaria. Per questo investimento si prevede 1 mld di euro, di cui 520 mln già disponibili e 430 mln di risorse nuove.
PIÙ COMPETENZE DIGITALI PER MEDICI, OPERATORI E ORGANIZZATORI
Disporre di Fascicoli sanitari digitali non è sufficiente senza le risorse umane, per cui il PNRR risponde con la formazione. Anche se la bozza del documento non entra nel dettaglio dello stato dell’arte, ci si può qui riferire ai dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale del Politecnico di Milano. L’interscambio di dati e documenti sui pazienti attraverso processi informatizzati è utilizzato dal 29% delle aziende sanitarie. Sul piano amministrativo va meglio, la gestione dei dati anagrafici è digitale nell’80% dei casi, ma solo un terzo delle aziende utilizza un supporto digitale per i piani di assistenza individuale. Con il medico di famiglia (MMG) la situazione è poi critica: nel 2019, 7 su 10 richiedevano la presenza di persona dei pazienti, e prima della pandemia il 19% comunicava con il paziente con la posta elettronica, il 9% con gli sms e il 14% con WhatsApp. Durante la crisi si è risposto con gli strumenti a disposizione, per esempio con piattaforme tipo Zoom o Skype.
Il Pnrr prevede allora una formazione al digitale fino alla fine del 2026, con borse di studio dedicate per la medicina generale in tre cicli triennali, con un piano straordinario di formazione del personale ospedaliero, con un percorso dedicato per i ruoli di vertice degli organismi del sistema sanitario nazionale e delle strutture macro-organizzative, e con tre progetti per i centri di trasferimento tecnologico.
Nella bozza di Pnrr dell’11 marzo, il valore di spesa per la formazione è di 200 milioni di euro, a cui aggiungere 1,31 mld di REACT-EU, che sembrerebbero però già stanziati e spesi durante la pandemia. I 200 mln “nuovi” comunque non sembrano molti, se si confrontano grossolanamente con la sola parte di Fondo sociale europeo del Programma Puglia (POR), che per il 2014-2020 valeva 772 mln di euro.