Degli oltre 6.400 partecipanti coinvolti in questo studio, il software ha portato ad un cambiamento nella terapia in circa 4 pazienti su 100
L’impiego di strumenti digitali aiuta sia a ridurre gli errori medici. Sono questi i principali risultati di uno studio – uno dei più grandi studi clinici randomizzati a livello internazionale – appena pubblicato su JAMA Network Open, che è stato coordinato dall’Università Statale di Milano. La ricerca ha rivelato il potenziale dei sistemi di supporto decisionale computerizzati (SSDC) nella riduzione di errori di diagnostica e di prescrizione. I ricercatori si sono posti un duplice interrogativo: è possibile incoraggiare i medici a riconsiderare le loro prescrizioni e decisioni, potenzialmente dannose, tramite un software che li orienti con alert e messaggi-guida? È possibile implementare con successo un SSDC sviluppato in un altro contesto, in un paese e in un ambiente di cura differente, cioè nello specifico un ospedale dell’hinterland di Milano? Lo studio, condotto all’Ospedale di Vimercate, sotto la supervisione del Lorenzo Moja, dell’Università degli Studi di Milano, mostra una risposta affermativa ad entrambi i quesiti. I medici che hanno utilizzato il SSDC hanno riportato un tasso significativamente più basso di errori di prescrizione e di diagnosi rispetto al gruppo di controllo, che non aveva accesso al supporto decisionale. Non tutti i potenziali errori che sono stati corretti hanno avuto esiti diretti sui pazienti, ma – come numerosi studi suggeriscono – le conseguenze di piccoli errori possono causare pesanti conseguenze per i pazienti, (incluso il decesso) e generare danni materiali e non, a carico della struttura ospedaliera. Commenta così Lorenzo Moja: “Alcuni di questi errori possono seriamente nuocere ai pazienti e, di conseguenza, anche ai medici che hanno in carico i pazienti e alla struttura ospedaliera, ma non siamo ancora in grado di distinguere tra i messaggi rilevanti, capaci di prevenire conseguenze gravi o drammatiche, ed alert meno importanti. Per questo motivo gli SSDC sono strumenti dotati di grande potenziale, ma non ancora efficienti nel discriminare le informazioni ricevute. Avere troppe informazioni, in questo caso, equivale ad averne troppo poche”. I ricercatori hanno utilizzato il sistema EBMEDS (Evidence Based Medicine Decision Support), sviluppato dalla Associazione dei Medici Finlandesi ed integrato da MEDILOGY alla cartella clinica elettronica ospedaliera locale. EBMEDS, testato per la prima volta nel 2003 negli ospedali finlandesi e evolutosi tanto da diventare uno strumento internazionale, è stato progettato per aiutare a tenere traccia delle decisioni mediche, come, ad esempio, prescrizioni di farmaci e test diagnostici. Questa tecnologia è attualmente impiegata in diversi ospedali, allo scopo di ridurre la variabilità delle cure, aumentare la sicurezza per i pazienti e migliorare l’efficacia clinica. “In questa era digitale dobbiamo pensare a come supportare i medici nel loro lavoro“, ha riferito Hernan Polo Friz, responsabile del progetto presso l’Ospedale di Vimercate, il quale ha supervisionato l’assistenza dei pazienti di medicina interna ammessi allo studio. “Nell’ultimo decennio il carico di lavoro clinico è molto aumentato e, quando i medici sono stanchi, possono sbagliare più frequentemente. Le cartelle cliniche elettroniche hanno spianato la strada ad un nuovo approccio alla pratica clinica: i dati dei pazienti non raccontano solo lo stato di salute dei singoli individui; diventano un innesco di suggerimenti che agevolano le diagnosi dei medici e le decisioni in merito al trattamento“. Se i sistemi di supporto informatico alle decisioni sono in grado di migliorare la qualità delle cure e ridurre potenzialmente errori diagnostici e terapeutici, perché non vengono utilizzati in tutti gli ospedali?“Esistono due principali ostacoli“, ha aggiunto il Giovanni Delgrossi, responsabile della divisione di Tecnologia dell’Informazione e Comunicazione presso l’ospedale di Vimercate. “In primo luogo, sono ancora pochi i medici a proprio agio con gli algoritmi che nelle cartelle cliniche elettroniche guidano le opzioni terapeutiche per i pazienti. In secondo luogo, le cartelle cliniche in formato digitale sono ancora abbozzi piuttosto caotici di informazioni, che spesso complicano, anziché agevolare, l’integrazione dei dati ospedalieri e dei sistemi di supporto alle decisioni. Questo studio fa vedere quello che forse sarà il futuro in molte strutture”. Gli sforzi tesi a far avanzare la ricerca ridurranno le incertezze che abbiamo sulle domande chiave: qual è il modo migliore per integrare i sistemi di supporto alle decisioni informatiche nella pratica dell’assistenza sanitaria? Questi strumenti miglioreranno effettivamente l’assistenza ai pazienti? Valgono i costi? Degli oltre 6.400 partecipanti coinvolti in questo studio, il software ha portato ad un cambiamento nella terapia in circa 4 pazienti su 100, un miglioramento statisticamente significativo, secondo alcuni modesto, per altri considerevole. “Certo, avremmo preferito avere il doppio o il triplo dell’efficacia. Ma poiché questo intervento si basa su semplici promemoria, non è probabilmente realistico attendersi grandi numeri” – spiega Moja – “I nostri medici sono meglio degli algoritmi. Non di meno abbiamo scoperto che, a fine giornata, alcuni algoritmi avevano aiutato a prenderci cura dei nostri pazienti in modo migliore rispetto al giorno prima.” Lo studio, conclude Moja, servirà anche da modello per i futuri studi clinici randomizzati: “Altri ricercatori avvieranno nuovi casi di studio, utili a migliorare la precisione degli algoritmi per aiutare i medici a rispondere a quesiti clinicamente rilevanti”.