- di Paolo Colli Franzone, fondatore e direttore di Netics da TechEconomy 2030 15 gennaio 2021 – “I dati (clinici) son desideri: la centralità del dato e dell’utente come sfida per l’immediato futuro dei sistemi informativi sanitari“
Se avete un amico penalista, provate a chiedergli se a lui i suoi clienti dicono davvero tutta la verità. Io questa domanda l’ho fatta, e la risposta è stata chiarissima: “io DEVO sapere tutto, se si tratta di un omicidio devo conoscere ogni più piccolo e insignificante particolare, altrimenti rischio che il Pubblico Ministero sia riuscito a conoscere cose che io ignoro e il mio cliente se ne va all’ergastolo”.
Capisco che sembra brutto dirlo, capisco che tutti noi facciamo il tifo per la giustizia e per l’ergastolo all’omicida. Ma se guardate le cose dal punto di vista dell’avvocato difensore, le cose stanno così. La conoscenza è tutto, i dati sono tutto. Regola che vale ovviamente anche nell’attività clinica: un’anamnesi perfetta è la ricostruzione di ogni più piccolo particolare, e dalla quantità e qualità dei dati dipende una diagnosi accurata.
I dati. Già, i dati!
Ma se i dati sono archiviati in tanti bei file PDF, come si fa? Ci facciamo raccontare ogni volta la storia della vita del Paziente? Peraltro, con la elevatissima probabilità che il Paziente tralasci qualcosa, anche solo perché gli fa difetto la memoria. Oppure per gli inevitabili problemi di comunicazione, i bias, gli equivoci. Facciamo un esempio immaginando un dialogo tra un medico e una paziente.
“Quante gravidanze ha avuto, Signora?”
E la Signora risponde: “Ho 3 figli”.
A quel punto diventa difficile spiegare alla Signora che un’eventuale gravidanza non arrivata a naturale compimento ha una rilevanza clinica di una certa importanza. Cominci a fare lunghi giri di parole, sperando che capisca.
Sarebbe fantastico se un medico avesse ore e ore di tempo da dedicare a queste simpatiche cacce al tesoro. Peccato che invece egli sia pagato per curare (e, possibilmente, guarire) i suoi pazienti rimanendo all’interno di una tempistica non espansibile a piacimento. E dire che tutti questi maledetti dati, da qualche parte, ci sono. Magari in una mezza dozzina di file PDF, ma ci sono. E qui bisogna parlare del Fascicolo Sanitario Elettronico. Parliamone, anche in questo caso immaginando un medico al lavoro.
Abbiamo il paziente di fronte a noi, e la password per accedere al suo fascicolo.
Click.
Valanghe di file PDF, ogni tanto qualche immagine salvata in formato DICOM.
Data, evento, documento allegato.
Apri. Leggi. Chiudi. Passa all’evento successivo.
Apri. Leggi. Chiudi. Torna indietro e riapri. Annota su un foglietto. Chiudi. Passa all’evento successivo.
Click.
“Ma lei ha fatto una TAC di recente qui da noi?”
“Sì dottore, tre mesi fa”.
Cerca. Trova. Apri. Leggi. Chiudi. Click.
I dati son desideri.
Idem in corsia.
Giro visite, letto 24: l’infermiera vi passa il dossier ad anelli con tanti bei fogli A4 in ordine cronologico.
Apri. Sfoglia. Leggi. Passa al foglio successivo.
Apri. Leggi. Torna indietro.
Metti in relazione i valori di pressione di mercoledì con quelli di stamattina.
Chiudi. Respira profondo. Sorridi.
I dati son desideri.
Chi ha pensato per la prima volta al Fascicolo Sanitario era sicuramente tutto tranne che un medico. Averlo concepito come una raccolta di PDF è stata una vera cattiveria nei confronti di chi, il Fascicolo, dovrebbe aprirlo per farci qualcosa di serio. Un paziente cronico di una certa complessità “produce” qualche dozzina di eventi clinici ogni anno e quindi qualche dozzina di file PDF magari lunghi 10-12 pagine ciascuno.
Ad avere il tempo di leggere tutta questa roba potrebbe essere un’ottima esercitazione di pazienza e di memoria, dovendo cogliere le informazioni davvero importanti per inquadrare correttamente il Paziente. E poi ci si chiede perché i medici non consultano i fascicoli sanitari elettronici dei loro pazienti.
Fortunatamente, con una quindicina d’anni di ritardo, ce ne si è accorti e adesso si corre ai ripari con le nuove versioni di FSE finalmente orientate al dato e non al mitico PDF firmato digitalmente. Magari è la volta buona che il FSE lo si potrà utilizzare senza perdersi nei suoi meandri documentali. E il ragionamento non vale solo per il Fascicolo: il problema della scarsa o nulla comunicazione fra informatici e operatori sanitari in sede di progettazione di soluzioni digitali è un problema serio e antico decine d’anni.
I produttori di soluzioni di Sanità Digitale hanno all’interno delle loro organizzazioni ben pochi medici, quando li hanno. Il fatto è che gli informatici sono sicuri di essere depositari della verità assoluta, di sapere molto meglio di chiunque altro quali sono i bisogni di questi benedetti utenti. Si pensa: “la cartella clinica deve essere una raccolta di documenti, perché così è tutto bello e ordinato”, non pensando che dentro questa bella collezione di PDF c’è la vita di una persona che dipende dalla capacità del suo medico di farsi un quadro clinico completo e preciso.
Questo è un fenomeno quasi esclusivamente italiano, e dipende inevitabilmente dai budget troppo scarsi che vengono destinati alla Sanità Digitale. A pochi soldi, inevitabilmente corrisponde poca qualità. Pagare uno staff di medici (e di infermieri, non dimentichiamoci di loro e delle loro straordinarie competenze) da inserire in un gruppo di sviluppo di un sistema informativo ospedaliero significa affrontare un investimento significativo.
E qui si spiega come mai un sistema informativo ospedaliero Made in USA costa almeno 3 volte di più del prezzo medio di un analogo prodotto italiano. Ma non sono gli americani a essere cari, siamo noi che pretendiamo di non pagare il giusto prezzo per portarci a casa strumenti di valore. La centralità del dato e la centralità dell’utente (si dovrebbe aggiungere anche la centralità del paziente) rappresentano la sfida per l’immediato futuro dei sistemi informativi sanitari, e su questo finalmente chi compra e chi vende dovrebbero iniziare a parlarsi di più fra loro.
Chi compra dovrebbe avere il coraggio di rompere l’equilibrio creato con i vari capitolati “copia e incolla”, osando chiedere di più. Chiedere di più anche all’interno della sua struttura, spuntando budget decorosi e all’altezza dei desiderata. Chi vende dovrebbe smetterla coi ribassi acrobatici fatti per conquistare un cliente in più, e non importa se poi non funziona niente. Non se ne può più, francamente, di aggiudicazioni effettuate in favore di aziende arrivate quarte o quinte come punteggio tecnico e poi agevolate da offerte economiche prive di anche un solo minimo di decenza.
Il tema della centralità del dato, inoltre, introduce un discorso ancora più importante relativo ai database.
Sempre per le solite ragioni di budget, sta prendendo piede l’abitudine di sottovalutare il DBMS sul quale appoggiare tutto il patrimonio informativo della struttura sanitaria.
“Ma un DB Open Source va bene lo stesso e non costa niente!”
Ci sarà un motivo, se non costa niente.
Ci sarà un motivo, se i DBMS più diffusi in Sanità in tutto il mondo civilizzato sono non più di tre e costano qualcosa più di niente. Performance, integrità, sicurezza, persistenza nel tempo, e potremmo andare ancora avanti nell’elencare i plus di un DBMS all’onor del mondo. A sentire gli hacker, che loro di dati e del loro valore se ne intendono, il dato sanitario è terzo in classifica dopo quello militare e quello finanziario. Se pensiamo di conservarlo in un cassetto mezzo scassato, forse ci sbagliamo.
Finirà che “i dati son desideri” e i desideri, nel frattempo, sono andati perduti.