- di Simona Regina da Corriere Innovazione 9 aprile – «All’Humanitas — racconta Mantovani — abbiamo recentemente condotto una ricerca sulle metastasi epatiche dei pazienti con cancro del colon retto. E grazie al gioco di squadra tra la ricercatrice Federica Marchesi, il chirurgo Matteo Donandon e la bioinformatica Sara Mapelli, abbiamo sviluppato algoritmi utili per esaminare la risposta immunitaria all’interno del tumore, all’intervento chirurgico, e la gravità del rischio di ricorrenza per poter, di conseguenza, valutare il percorso terapeutico ideale».
«La tecnologia è sempre stata alla base del cambiamento e delle evoluzioni scientifiche». Oggi, la tecnologia che sta rivoluzionando la ricerca scientifica al servizio della salute è, come sottolinea l’immunologo Alberto Mantovani, l’intelligenza artificiale. «Machine learning, big data, Ai sono strumenti straordinari per fare ricerca e consentire ai medici di offrire al paziente terapie sempre più personalizzate, migliorando così la gestione della salute pubblica», sottolinea il direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Rozzano, dove da circa un anno e mezzo è operativo l’Ai Center, un centro che attraverso lo sviluppo di software e algoritmi supporta l’attività di ricerca e di cura per migliorare l’assistenza medica.
L’obiettivo è la medicina di precisione. «Dare cioè a ogni paziente le indicazioni di prevenzione, diagnosi e terapie giuste. O, almeno, le più giuste possibili. Sulla base dei dati clinici a disposizione e di tutte le informazioni che è possibile ricavare dalla biologia molecolare, dalla genetica, dall’epidemiologia e dalla letteratura scientifica». La grande opportunità, insomma, è poter analizzare e integrare, grazie a software e algoritmi, i big data dei pazienti e «il distillato della conoscenza scientifica in ambito medico», per arrivare alla diagnosi più corretta e completa e alla terapia più adeguata. In altre parole, l’Ai è una sorta di occhio molto più vigile, che può potenziare la capacità umana nel campo della diagnosi, dello screening e delle scelte terapeutiche. «Seguendo il modello di Soren Brunak, collega danese che è stato un pioniere del machine learning in medicina — prosegue Mantovani — dovremmo superare il concetto di malattia, per adottare quello di traiettorie di malattia, e integrare i set di dati di salute degli individui, quindi storia clinica, fattori di rischio, l’uso di farmaci, con i dati genomici e sociali, come l’istruzione per esempio, per sviluppare modelli predittivi che possono supportare il medico e guidare al meglio le sue scelte». In quest’ottica, dunque, secondo Mantovani, la tecnologia si pone al servizio del bene comune. La data science, insomma, permette di associare una mole enorme di dati provenienti da fonti diverse con grande velocità e precisione, fornendo un supporto al processo decisionale.
Ma non solo. Perché l’Ai potenzia anche la capacità di studiare le malattie. «La tecnologia oggi ci consente infatti di ridisegnare la mappa del corpo umano e delle patologie a una granularità infinitamente fine, potendo studiare cosa accade a livello di singola cellula. La massa di dati che otteniamo grazie alle scienze cosiddette omiche (genomica, proteomica…) è tale che può essere analizzata solo con approcci di Ai. La sfida è riuscire poi a portare i risultati al letto del paziente» precisa Mantovani. «Ed è quello che stiamo cercando di fare con un approccio sempre più multidisciplinare all’Humanitas con l’Ai Center» prosegue Victor Savevski, Chief Innovation Officer di Humanitas e direttore del centro. «Qui bioingegneri, data scientist, medici e ricercatori lavorano fianco a fianco per aprire nuove strade alla ricerca scientifica e all’assistenza dei pazienti grazie all’analisi dei big data, al machine learning e alla sinergia tra competenze diverse. Perché il futuro della salute è la convergenza tra la medicina e la tecnologia».
Un esempio? «All’Humanitas — racconta Mantovani — abbiamo recentemente condotto una ricerca sulle metastasi epatiche dei pazienti con cancro del colon retto. E grazie al gioco di squadra tra la ricercatrice Federica Marchesi, il chirurgo Matteo Donandon e la bioinformatica Sara Mapelli, abbiamo sviluppato algoritmi utili per esaminare la risposta immunitaria all’interno del tumore, all’intervento chirurgico, e la gravità del rischio di ricorrenza per poter, di conseguenza, valutare il percorso terapeutico ideale».
La tecnologia dunque migliora la precisione degli approcci terapeutici, ma non solo. Allarga praticamente a livello mondiale il bancone del laboratorio. È ciò che sta accadendo, per esempio, nella sfida contro il virus Sars-CoV-2. L’Ai Center di Humanitas è coinvolto infatti nel progetto COVID-X, un programma biennale di accelerazione per sviluppare soluzioni contro la pandemia. E proprio contro il virus, l’intelligenza artificiale si è dimostrata uno strumento prezioso. «Lavoriamo su banche dati internazionali aperte e la condivisione dei dati sta accelerando la ricerca — spiega il direttore scientifico di Humanitas —. Qui, per esempio, siamo riusciti a identificare un marcatore di gravità di Covid19 e a mettere a punto un test semplice e a basso costo, un esame del sangue, per identificare i pazienti che necessitano di un trattamento tempestivo. Questo è stato possibile grazie all’accesso ai dati e all’analisi bioinformatica di polmoni di pazienti in Usa e Israele, senza che nessuno abbia dovuto viaggiare». Dall’emergenza sanitaria mondiale all’oncologia, dalla radiologia alla chirurgia, all’Humantitas sono diversi i progetti scientifici che si avvalgono dei sistemi di intelligenza artificiale: in parte sono finanziati dal 5×1000 e in parte da Horizon 2020. «L’anno scorso — precisa Savevski — dal fondo della Commissione europea per la ricerca e l’innovazione, i progetti internazionali a cui l’AI Center di Humanitas partecipa come partner hanno ottenuto fondi per alcuni milioni di euro».